Dott.ssa Erica Francesca Poli – Psichiatra, psicoterapeuta
In Italia la Cannabis fa parte, con i suoi estratti e principi attivi, delle sostanze inserite dall’agenzia del farmaco, insieme a cocaina ed eroina, nella Tabella 1, in quanto dotata di proprietà assuefacenti, ma all’estero già da tempo e in Italia da un paio di anni, a partire dalla regione Toscana, la cosiddetta Cannabis terapeutica può essere erogata dal sistema sanitario nazionale come presidio terapeutico compassionevole per alcune patologie come il cancro terminale, la sclerosi multipla, l’AIDS e anche l’anoressia.
Per alcuni la Cannabis è una sostanza pericolosa, anticamera dell’abuso di droghe più pesanti, per altri invece è una sostanza efficace per rilassarsi e dormire meglio.
Inutile per un medico nascondersi dietro un dito e limitarsi a dire ai propri pazienti di non utilizzarla, ben sapendo che in realtà ancor più che gli adolescenti, che ne fanno un uso spesso di tipo ricreazionale, fumando lo spinello in gruppo, molti adulti proseguono con un utilizzo cronico di cannabis, al proprio domicilio, per dormire o rilassarsi la sera.
Cosa dire a queste persone in qualità di medico psichiatra?
Niente che provenga dal pregiudizio, niente che sia un luogo comune.
Piuttosto invece dire la verità, che in termini scientifici non è mai una verità assoluta, ma al contrario è molto umilmente rappresentata soltanto da ciò che finora le ricerche più serie e accreditate hanno potuto dire sui reali effetti acuti e cronici dell’uso di Cannabis, e sugli eventuali rischi associati alla sua assunzione.
Le diverse posizioni in merito alla liberalizzazione delle cosiddette droghe leggere, ovvero i derivati della canapa indiana (marijuana e hashish), non sono solo terreno di scontro politico e sociale, perché appunto proprietà, rischi e virtù sono oggetto di studio scientifico e medico.
Se i cannabinoidi possono produrre perdita di memoria, senso di paura, alterazioni della percezione, ma anche rilassamento e senso di benessere, così come ebbrezza, espansività, allucinazioni e servono però anche a tollerare meglio il dolore, è ora che se ne dia un effettiva spiegazione per una scelta consapevole.
La medicina del futuro, che è già il presente, almeno per quanto riguarda alcuni medici, come chi scrive, è una medicina che deve prima di tutto fare leva sulla consapevolezza delle persone. La ricerca scientifica sta sempre più aprendo la strada ai percorsi di integrazione tra saperi occidentali e orientali, medicina convenzionale e alternativa e in questo scenario le persone debbono ricevere prima di tutto informazione, ed essere messe nella condizione di accedere ad una medicina finalmente integrativa per poi esercitare liberamente il proprio potere di scelta, anche di fronte a temi contraddittori e delicati come questo.
I derivati della Cannabis e la loro azione a livello cerebrale
Vale la pena partire facendo chiarezza su cosa siano i derivati della cannabis, marijuana e hashish.
La Marijuana è una droga ottenuta dalla canapa indiana (Cannabis indica), le cui foglie, essiccate e tritate, vengono fumate o ingerite per il loro effetto allucinogeno ed euforizzante. Il principio attivo della marijuana è il tetraidrocannabinolo (THC), che si concentra soprattutto nelle cime fiorite.
L’hashish, una droga ricavata dalla resina della pianta, ha un contenuto di THC otto volte superiore a quello della marijuana. La canapa indiana cresce nelle regioni temperate; la concentrazione del principio attivo aumenta con l’altitudine delle zone di coltivazione e quanto più il clima di queste regioni è secco e asciutto. A eccezione di pochi paesi, la coltivazione della canapa indiana è ovunque illegale.
Il DM 18.04.2007 ha però inserito, anche in Italia, il principio attivo della Cannabis, il THC, il suo isomero, trans-THC, e un suo analogo, il nabilone, nella Tabella 2, nella quale si trovano farmaci capaci di produrre dipendenza, come la morfina, ma dotati di utilità terapeutica. E’ da notare che la Cannabis e le sue preparazioni (marijuana, hashish, olio di hashish) sono inseriti in Tabella 1 ma non in Tabella 2, e questo esclude che la Cannabis e le sue preparazioni possano essere vendute e utilizzate per uso terapeutico.
Cosa si può dire ad oggi sui reali rischi associati all’assunzione di Cannabis e quali sono i margini terapeutici effettivamente offerti da farmaci come il Sativex, oggi disponibile anche in Italia per il trattamento di alcuni di sintomi associati a patologie specifiche?
Sappiamo che la Cannabis esercita i suoi principali effetti sul sistema nervoso centrale (SNC), sia fumata sia ingerita. Le sue proprietà psicoattive sono la ragione per cui è usata a fini voluttuari in molte parti del mondo. Gli studi sugli effetti acuti della cannabis nell’uomo suggeriscono che il sistema dei recettori dei cannabinoidi può essere implicato nella regolazione dell’umore, emozioni, attenzione, memoria, e molte altre funzioni cognitive.
Per quanto riguarda gli aspetti scientifici, fino agli anni ’70 si pensava che il principio attivo della Cannabis, il THC, agisse come l’alcol, modificando lo stato di aggregazione dei lipidi e delle proteine delle membrane dei neuroni grazie alla sua grande liposolubilità.
Si scoprì invece che nel cervello dei mammiferi, incluso l’uomo, esistono siti di legame saturabili e in numero finito, ai quali il THC si lega ad alta affinità ed in modo stereospecifico e la cui distribuzione cerebrale è consistente con i suoi effetti centrali.
Nel cervello questi recettori (deti CB1 e CB2) sono addirittura i più abbondanti della loro categoria (recettori legati a proteine G) superando quelli di ben noti neurotrasmettitori come la dopamina, la serotonina e la noradrenalina.
Analogamente ai recettori per la morfina e gli oppiacei, anche i recettori CB1 non si trovano nel cervello umano per poter godere degli effetti gratificanti della Cannabis né per diventare da essa dipendenti ma perché svolgono un ruolo importante nelle funzioni cerebrali.
Esistono infatti una serie di agonisti endogeni dei recettori CB1 (anandamide, 2-arachidonilglicerolo) che si producono localmente per azione di enzimi specifici su lipidi che costituiscono la membrana dei neuroni e della glia (acido arachidonico) e influenzano la trasmissione dell’informazione in specifiche aree cerebrali e in fenomeni di neuroplasticità implicati nell’apprendimento e nello sviluppo cerebrale.
Il punto cruciale è stabilire la misura in cui ciascuna di queste funzioni, e invero il sistema dei cannabinoidi endogeni e gli stessi recettori, sono influenzati dall’uso prolungato di cannabinoidi esogeni.
I recettori per i cannabinoidi si concentrano specificatamente in alcune aree cerebrali, il che rende ragione degli effetti della cannabis sulle funzioni mentali. (Vedi figura 1)
Ad esempio, l’elevata densità dei recettori CB1 nei Gangli della Base, deputati a garantire la permanenza dei comportamenti abituali appresi, detti skills, spiega la capacità della Cannabis di alterare la guida secondo un percorso abituale. Sotto l’effetto della Cannabis il soggetto cerca di compensare la compromissione della modalità automatica regredendo a una modalità tipica dei principianti, quella goal-directed e dipendente non più da stimoli che precedono l’azione (stimulus-response modality) e ne consentono il rapido e coordinato sviluppo ma dal risultato stesso dell’azione (action-outcome modality) il che rende l’azione inadeguata, lenta e scoordinata, come è appunto quella di chi sta imparando a guidare.
Studi epidemiologici mostrano che la guida sotto l’influenza della Cannabis raddoppia il rischio di incidenti mortali e amplifica l’effetto dell’alcol, nel senso che la loro associazione determina un rischio superiore alla somma di ciascun fattore preso individualmente.
Figura 1: Distribuzione e densità dei recettori ai cannabinoidi nel cervello umano. La densità è codificata in base ai colori. Le aree a densità più elevata ( rosso, arancione e giallo) sono la corteccia prefrontale dorso-laterale, che spiega l’alterazione delle funzioni cognitive da parte della Cannabis , il globo pallido e la substantia nigra, che spiegano gli effetti gratificanti e di rinforzo e l’alterazione delle funzioni extrapiramidali, la corteccia anteriore del giro del cingolo, che spiega gli effetti sul tono dell’umore (aumento sotto l’effetto della Cannabis, diminuzione in astinenza), e l’amigdala e l’ippocampo, che spiega gli effetti sulla memoria e sull’ansia. Tratto da: K. H. Taber, R. A. Hurley, Endocannabinoids: Stress, Anxiety and Fear ; The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences, 2009
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