Cannabis e riduzione dei volumi cerebrali
Dagli studi condotti su modelli animali è emerso come una somministrazione a lungo termine di cannabinoidi, a dosaggi simili a quelli fumati, sia in grado di indurre cambiamenti neurotossici nell’ippocampo, inclusa una diminuzione del volume neuronale, della densità neuronale e sinaptica, e della lunghezza dei dendriti dei neuroni piramidali.
Per questa ragione, un gruppo di ricercatori australiani ha indagato gli effetti di un consumo elevato (oltre 5 dosi al giorno) e prolungato (più di 10 anni) di cannabis in 15 soggetti con un’età media di 39,8 anni e in 16 controlli. Dal campione in esame sono stati esclusi i pazienti affetti da disturbi mentali e neurologici e chi presentava una storia di abuso di molteplici droghe.
In particolare, sono state prese in considerazione ippocampo e amigdala, due regioni cerebrali ricche di recettori per i cannabinoidi, e, tramite risonanza magnetica a elevata risoluzione, sono state misurate le eventuali variazioni volumetriche di queste aree.
I ricercatori hanno, così, osservato che i consumatori di cannabis mostravano una riduzione bilaterale del volume sia dell’ippocampo, sia dell’amigdala (rispettivamente del 12% e del 7,1%) e hanno identificato un’associazione inversa tra il volume ippocampale dell’emisfero sinistro e l’esposizione alla droga durante il decennio precedente.
Inoltre, i soggetti che assumevano la cannabis, rispetto agli appartenenti al gruppo di controllo, ottenevano una performance più scarsa per quanto riguardava l’apprendimento verbale ed erano esposti a un rischio più elevato di insorgenza di sintomi psicotici.
I risultati ottenuti confermano quanto osservato in precedenza, dimostrando come l’assunzione prolungata di elevate dosi di cannabis induca una significativa riduzione del volume dell’ippocampo e dell’amigdala.
Infatti, con elevata probabilità, la mancanza di effetti osservata in alcuni studi precedenti era dovuta all’impiego di tecniche di imaging caratterizzate da basso potere risolutivo o da un periodo di esposizione alla sostanza stupefacente troppo breve.
Tuttavia, resta da chiarire l’eziologia delle riduzioni volumetriche osservate, in quanto potrebbero essere dovute a una perdita di glia o neuroni, a un cambiamento delle dimensioni cellulari o a una diminuzione della densità sinaptica.
Secondo una ricerca Australiana del 2012, l’uso prolungato e con alte quantità di cannabis danneggia il cervello, con danni alla memoria e alla capacità di apprendimento (Functional Connectivity in Brain Networks Underlying Cognitive Control in Chronic Cannabis Users). I ricercatori del Melbourne’s Murdoch Childrens Research Institute (Mcri) e degli atenei di Melbourne e Wollongong spiegano di avere dimostrato per la prima volta che il rischio associato alla marijuana è tanto maggiore quando più precoce è l’età in cui si prova lo ‘spinello’. Nella ricerca pubblicata sulla rivista Neuropsychopharmacology, gli studiosi hanno usato la risonanza magnetica per esaminare il cervello di 59 persone che hanno usato marijuana per 15 anni in media, comparando le immagini con quelle di 33 persone sane che non hanno mai usato la droga. Le immagini misuravano cambiamenti di volume, forza e integrità della materia bianca, il complesso sistema di connessioni del cervello. A differenza della materia grigia, l’area del pensiero che raggiunge la sua punta a otto anni di età, la materia bianca continua a svilupparsi nel corso della vita. Nei consumatori di marijuana è stata osservata da un lato la distruzione delle fibre nervose, e dall’altro una riduzione di oltre l’80% del volume di questa sostanza, che a differenza della materia grigia continua a svilupparsi anche in età adulta. L’età media di inizio consumo era pari a 16 anni, ma alcuni partecipanti allo studio avevano iniziato a fumare a 10-11 anni. E in caso di consumo precoce, i danni riportati erano superiori e particolarmente gravi a lungo termine.
Come spiegato in molte interviste da Marc Seal, autore senior della ricerca, questo è il primo studio che dimostra la presenza di alterazioni significative conseguenti all’uso di cannabis, e come l’età in cui si inizia a consumare regolarmente cannabis rappresenti un fattore chiave nel determinare la gravità del danno cerebrale.
Cannabis e sviluppo cerebrale
Nel 2010 è stato anche pubblicato il primo studio che esamina l’influenza dell’uso della cannabis sulla “girificazione” del cervello, ossia la formazione dei giri e dei solchi cerebrali, pubblicato da un team di ricercatori spagnoli che hanno studiato la morfologia del cervello in un campione di trenta ragazzi utilizzando la Risonanza Magnetica encefalica, per determinare se gli adolescenti e i giovani che ne fanno uso abbiano anomalie cerebrali. I ricercatori hanno confrontato la conformazione strutturale dell’encefalo di questi ragazzi con un gruppo di quarantaquattro volontari sani.
I risultati ottenuti dalla ricostruzione della morfologia cerebrale, pubblicati sulla rivista scientifica Brain Research, hanno dimostrato che nei consumatori di cannabis si assiste ad una riduzione dei solchi cerebrali in entrambi gli emisferi, oltre ad uno spessore corticale più sottile nel lobo frontale destro. Fra i giovani non consumatori, l’età gioca un ruolo importante nella riduzione della girificazione e dello spessore corticale, mentre fra i consumatori non dipendeva nè dall’età, nè da quando si è iniziato a consumare cannabis, ne’ dall’esposizione cumulativa alla sostanza. Questo studio suggerisce che la cannabis, se usata durante l’adolescenza o da giovani adulti, possa provocare una prematura alterazione della girificazione corticale simile a quella che accade in età solitamente più avanzata nei non consumatori, il che corrisponde ad una alterazione dello sviluppo cerebrale i cui effetti dovranno essere ulteriormente approfonditi per valutarne i rischi per la funzionalità cerebrale.
Cannabis e rischio suicidario
Uno studio neozelandese dal titolo “Cannabis use and suicidal ideation”, redatto dall’Università di Melbourne nel 2012 ha utilizzato i dati di uno studio della “Christchurch Health and Development Study” che analizzava il comportamento dei bimbi nati nel 1977 in Nuova Zelanda, al fine di stabilire se esistesse una relazione causale tra l’uso di cannabis ed eventuali tendenze suicide.
Ebbene, nel campione osservato è risultato che il 38 per cento delle femmine e il 31 per cento dei maschi aveva avuto pensieri suicidi. L’età media di insorgenza di tali pensieri è stata fissata ai 17 anni per le femmine e 18 anni per i maschi.
Inoltre, la probabilità di avere tali pensieri nei consumatori giornalieri di cannabis è stata rilevata nel 74,4 per cento per le femmine e del 51 per cento per i maschi. Mentre per i non consumatori questo dato si fermava rispettivamente al 35 e al 25,5 per cento.
Questo studio mostra come l’uso di cannabis soprattutto in persone vulnerabili può incrementare il rischio di mortalità, soprattutto in relazione alle ricadute sull’attenzione e sulla stabilità psichica dei soggetti, agli stati depressivi e demotivazionali che la cannabis è in grado di creare.
Unico neo da rilevare in questo studio, peraltro scientificamente rigoroso é l’assenza di indagine relativa ad altri possibili cofattori, come eventuale utilizzo di psicofarmaci concomitante.
Cannabis e psicosi
Uno studio sugli effetti dell’uso prolungato di cannabis, pubblicato sugli Archives of General Psychiatry da psichiatri dell’università di Queensland diretti da John McGrath ha dimostrato che la marijuana usata a lungo, raddoppia il rischio di soffrire di psicosi e aumenta di quattro volte il pericolo di allucinazioni.
Già in passato erano stati eseguiti studi sugli effetti del consumo di marijuana o di altri derivati della cannabis. I risultati di questi studi hanno lasciato emergere un complesso rapporto tra droga e psicosi: in alcuni casi addirittura sembrava addirittura che chi risultava poi predisposto alla psicosi fosse piu’ incline a consumare marijuana. Ma se vi fosse un meccanismo di causa-effetto e di che tipo restava poco chiaro.
Ciò nondimeno le gravi conseguenze dell’uso a lungo termine di cannabis erano emerse in uno studio sulle comunita’ indigene d’Australia che sono grandi consumatrici di cannabis. Si era visto che dopo 15 anni di abuso dello stupefacente cominciano a comparire effetti mentali cronici, con casi di psicosi irreversibili, oltre a depressione e dipendenza.
Il nuovo studio australiano sulla popolazione generale fa un po’ piu’ di luce sul legame tra cannabis e psicosi: gli esperti hanno monitorato per molti anni la salute psichica di oltre 3.800 giovani che per alcuni anni (fino a sei) avevano fatto uso di marijuana. È emerso che maggiore è il tempo durante cui i giovani hanno consumato questa droga, maggiore è il rischio di soffrire di psicosi e allucinazioni.
Per verificare che il legame tra cannabis e psicosi fosse di causa-effetto, cioe’ che fosse proprio la droga ad aumentare il rischio, gli esperti hanno esaminato un sottogruppo di oltre 200 coppie di fratelli, uno dei quali usava marijuana. Ne e’ risultato che solo per il fratello che consumava marijuana aumentava il rischio psicosi.
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