L’alchimia da sempre emana il fascino di una disciplina che racchiude in sé aspetti prettamente psichici o metafisici e al contempo aspetti scientifici. Ritenuta spesso bizzarra o esoterica, in realtà i suoi simboli hanno sempre costellato molte altre branche del sapere, dalla letteratura alla pittura, dalla musica alla medicina. Oggi è possibile riscoprire l’alchimia in tutto il valore che possiede attraverso le sue impressionanti e potenti corrispondenze con le neuroscienze delle emozioni. Come scrive André Savoret, l’alchimia è “la conoscenza delle leggi della vita nell’uomo e nella natura e la ricostruzione del processo attraverso il quale questa vita, corrotta qui sulla terra dalla caduta adamitica, ha perduto e può riacquistare la propria purezza”. In altri termini l’alchimia ha a che fare con un’opera di redenzione di tutto il creato, animale, vegetale e minerale, in cui l’uomo può finalmente rinascere a se stesso, reintegrare quello stato che Ermete Trismegisto ha ben racchiuso nella chiosa, “come in alto così in basso”.
Attraverso la metafora del fuoco che modifica, trasmuta, la materia, ben si comprende la profonda intuizione del dramma mistico del dio, che determina nell’uomo l’immortalità attraverso l’esperienza della morte e della resurrezione iniziatiche. Questo dramma è così proiettato sulla materia: le sostanze minerali ‘muoiono’ e ‘rinascono’ a un altro modo di essere, esattamente come l’uomo che procede sulla via alchemica, e sono, così, ‘trasmutate’.
Questo è ciò che le neuroscienze ci mostrano accadere quando attiviamo il sistema emotivo e affrontiamo il trauma con lo stesso intento trasmutativo che avrebbe l’alchimista nel compimento dell’opera. Se nell’Alchimia infatti il Piombo diventa Oro (in riferimento a una trasformazione fisica) e il Veleno diviene Farmaco (in riferimento a una trasformazione chimica), nella nuova medicina integrata, grazie al dato neuroscientifico, le emozioni represse, rimosse, negate che sono state scaricate nel corpo fisico attraverso il sistema neurovegetativo e le cascate biochimiche che provocano, o ingolfano il cervello limbico e cortocircuitano il cervello corticale, possono essere parimenti trasmutate in una energia di natura differente che si rende disponibile per l’azione e per il presente, invece che per il lamento e per il passato.
E se gli alchimisti usavano il Fuoco per far accadere questa trasmutazione, il neuroscienziato delle emozioni sa che quel fuoco corrisponde proprio alla salita dell’energia dell’emozione quando viene mobilizzata e sa che solo sentendo quell’emozione, solo lasciandola scorrere nel corpo, il più intensamente possibile, il suo passaggio, il suo fluire libererà dai sintomi e muterà il carattere come niente mai prima.
Come l’Alchimista vuole padroneggiare le forze della natura, penetrare i segreti punti di unione tra lo Spirito e la Materia, il neuroscienziato delle emozioni fa la stessa cosa: va là dove la rabbia, la tristezza, il dolore si sono fatte corpo e sintomo, e maieuticamente attraverso la loro stessa forza che fa sprigionare, fa nascere un nuovo individuo.
La più perfetta di tutte le vie, come l’hanno concepita i sapienti, quella che è fatta per completare l’opera, per portare a compimento il lavoro della creazione, è nell’Alchimia come nella nuova medicina delle emozioni. Così ogni disturbo, ogni disagio che proviamo può essere la svolta più importante per il nostro Sé e la porta per la trasformazione interiore, il preludio di un viaggio verso il Sé.
Allora “trasformare la pietra in oro” allude alla possibilità che l’uomo sia in grado di percorrere la via di una conoscenza che può portarlo a trasformare la sua stessa natura mentre si avvicina alla sorgente stessa dell’universo, che altro non è che quella Forza Vitale che incontra e sperimenta anche fisicamente attraverso l’apertura dell’inconscio che la salita delle emozioni permette. Perché questo accada, si tratta di compiere un percorso in cui occorre “separare lo spesso dal sottile” e la coscienza deve trasformarsi più e più volte.
Il medico delle emozioni chiama ciò “auto-osservazione”: questa profonda e costante presenza a sé è la chiave centrale di tutto il processo trasformativo.
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