Sempre più farmaci, sempre più precocemente
La prescrizione e l’impiego di psicofarmaci ( e a voler ben vedere stesso discorso si potrebbe fare per antiacidi, antibiotici, antiipertensivi, antiinfiammatori e così via) é in crescente aumento, mentre decrescente é la media dell’età di assunzione, essendoci ormai una ampia diffusione anche tra gli adolescenti e i bambini.
Da uno studio di Cooper et al. (2006) è emerso che in 5.762.193 di visite effettuate su bambini tra il 1995 e il 2002, negli USA, sono stati prescritti degli antipsicotici. Quasi un terzo di tali prescrizioni è stato effettuato da non professionisti della salute mentale (ad esempio medici generici). Il 53% delle prescrizioni erano per disturbi comportamentali o affettivi, condizioni per le quali gli antipsicotici non sono ancora studiati approfonditamente nei bambini.
Solo un problema per gli Stati Uniti? Niente affatto.
L’Istituto Mario Negri di Milano ha appena concluso una ricerca condotta su 1.616.268 ragazzi lombardi sotto i 18 anni: 63.550 di loro hanno ricevuto cure per problemi psicologici, dipendenze o depressione. Più maschi che femmine (69% contro il 31% delle donne), ma il 60% è composto da bambini di 8 anni. Citando le parole di Maurizio Bonati, che ha coordinato la ricerca, “un terzo dei ragazzi, adolescenti, ma anche più piccoli, che fanno uso di psicofarmaci hanno in famiglia un altro caso di paziente che lo utilizza. E spesso i genitori si fanno prescrivere una ricetta per tutta la famiglia, così che l’abuso è immediato e difficilmente calcolato”.
Il trend, indubbiamente preoccupante, é cominciato una decina di anni fa: ritmi di vita e pressioni socioeconomiche sempre più pesanti, hanno fatto apparire a genitori e ragazzi la via del farmaco come una via di fuga, comoda, apparentemente risolutiva, rapida e facile.
Il recente aggravamento della crisi economica sta facendo il resto.
Si consumano minori quantita’ di verdure, si risparmia sullo sport, le incertezze economiche aumentano il carico psicologico legato all’instabilitá e cosi’ risulta in aumento il consumo di farmaci antidepressivi, cresciuto di oltre quattro volte in una decade, passando da 8,18 dosi giornaliere per 1000 abitanti nel 2000 a 35,72 nel 2010. (Rapporto Osservasalute, 2011)
Indubbiamente il ricorso alla consultazione psichiatrica o psicologica (studio Eurobarometer) è aumentata del 10% negli ultimi 5 anni e se aumentano le consulenze psichiatriche e psicoterapeutiche, cresce di pari passo anche il consumo di psicofarmaci, in particolare ansiolitici e antidepressivi.
Ansia & C.: moda, stress o malattia?
È un dato ormai assodato che negli ultimi anni i farmaci più venduti siano state le benzodiazepine, eredi dei vecchi barbiturici, e che il loro uso si stia trasformando in abuso, complice anche la superficialità prescrittiva che si registra in un numero considerevole di casi. Un costo contenuto e la compiacenza di alcune farmacie nel bypassare l’obbligo della ricetta medica poi fanno il resto. Risultato: un incremento smisurato del consumo negli ultimi anni.
Basti dire che all’inizio degli anni novanta sono state acquistate solo negli Stati Uniti circa 15.000 tonnellate di ansiolitici.
In un’analisi ormai classica, datata 1978, sul consumo di psico-farmaci, (M. Lader, Benzodiazepines – the Opium of the Masses, in «Neuroscience», 3, 1978, pp. 159-165), Lader ha sottolineato come, nelle nazioni occidentali, esista una correlazione chiara fra il livello di stress sociale, il livello di industrializzazione e il consumo di ansiolitici.
Oltretutto, secondo uno studio condotto dall’Incb (Istitute Narcotic Control Board), l’Italia, con una percentuale del 32% della produzione globale, è anche tra i principali Paesi produttori di benzodiazepine .
Le statistiche dimostrano che l’Europa ha il più alto consumo medio per i sedativi ipnotici e per gli ansiolitici. Secondo l’United Nations Office for Drug Control and Crime Prevention, infatti, il 96% dei Paesi che segnalano problemi di abuso mettono al quarto posto le benzodiazepine (69%) precedute da cocaina, oppiodi e cannabis.
Un rapporto senza precedenti sullo stato di salute mentale nei Paesi europei, presentato al XVIII Congresso ECNP (European College of Neuropsychopharmacology) di Amsterdam stima che per il 2020 il disturbo d’ ansia sarà la seconda causa più importante di malattia.
Ma cosa si intende davvero per disturbo d’ansia? E quanto é abusata la parola ansia? Quanto siamo tutti abituati a pronunciarla? E quanto siamo abituati ad avere costantemente una certa quale forma di malessere che chiamiamo stress?
É ormai diffusa una forma di malessere personale che si esprime con ansia, panico, insonnia, e per ognuno di questi sintomi viene coniato un disturbo, una diagnosi cosiddetta “descrittiva”, che descrive per l’appunto il sintomo, ma non dice nulla circa l’eziologia del problema.
Così avremo il Disturbo D’Ansia Generalizzato, il Disturbo Da Attacchi di Panico, il Disturbo Dell’Adattamento di tipo ansioso e così via.
Se consideriamo che per ognuno di questi disturbi vengono stilati altrettanti protocolli farmacologici, ovvero sia schemi standardizzati di trattamento, appare molto chiaro come si possa facilmente creare una moltiplicazione di disturbi e di terapie, rischiando di perdere di vista la persona con la sua storia e le radici della sua personale ansia.
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